La sessualità tra tabù e pregiudizi

uomo e donna in sedia a rotelle in riva al tramonto
Una ragazza e un ragazzo in sedia a rotelle che si prendono per mano al tramonto

Mentre ormai da tempo si studiano strategie operative adeguate a educare alla sessualità e alla affettività le persone con difficoltà fisiche o psichiche, la loro condizione esistenziale soffre di pesanti tabù e limitazioni concrete in questa fondamentale area. La sessualità rappresenta una componente essenziale della propria identità umana, in termini emozionali, fisici, psicologici ed anche etici e spirituali. Essere di fatto discriminati davanti alla possibilità di instaurare relazioni intime e sessuali, davanti alla possibilità di sposarsi e diventare genitori, rinnova e amplifica la sensazione di essere marginali e non poter avere accesso ai diritti umani fondamentali.

“Normali” dalla vita in su

Mentre siamo tutti d’accordo nel pensare alla relazione d’aiuto nei confronti della persona con disabilità come un cammino che orienti il più possibile verso una “normalizzazione”, attraverso l’inclusione nella scuola, nel lavoro e nella società, la sessualità tende a non potersi facilmente iscrivere in questo cammino di normalità, e diventa significativa solo in quanto pone problemi a scuola, alle famiglie, ai servizi. È una genitalità senza mente e senza cuore, quella che spesso viene riconosciuta ai giovani con disabilità, mero istinto che si manifesta con la masturbazione palese dei giovani maschi, e mero dato biologico che emerge col rischio di procreare per le giovani donne. Mentre ai maschi è concessa in qualche modo almeno l’attività autoerotica, purché svolta in privato e senza enfasi, e viene riconosciuta in molte famiglie anche una sessualità da vivere almeno nel contatto con le prostitute – però, proprio per questo, frammentata, consumata in modo scisso senza relazione –, per le giovani donne con disabilità lo stigma è ancora più pesante e si manifesta nel restituire loro una immagine asessuata, angelicata, atteggiamenti di eccessiva protezione, dove solo il matrimonio può assolvere la funzione di copertura normalizzante.

La sessualità e l’affettività sono prima di tutto vicinanza emotiva, accettazione e accoglienza di sé e della propria individualità e dell’altro/a come prezioso/a, ma nelle persone con disabilità, in assenza di strumenti che permettano loro di avvicinarsi dolcemente e con rispetto al proprio corpo e all’intimità col corpo altrui, diventano una forza sessuale difficile da riconoscere e da regolare, una forza che si inscrive in un corpo spesso amato male, che forse, quando diventa adulto, talvolta viene anche rifiutato. Oppure diventa una forza incontenibile che si iscrive in una mente sofferente, incompleta nelle sue funzioni, e invece di essere il momento della definizione della propria identità di donna o di uomo, diventa la frattura di questa identità, oppure una identità dolente e pesante da gestire, percepita dall’ambiente come indesiderabile.

C’è ancora una vasta area di profondo imbarazzo sociale davanti all’idea di una educazione affettiva e sessuale per questa parte dell’umanità: viene vista erroneamente come il risveglio pericoloso ed inutile di un impulso che mai potrà trovare piena soddisfazione, mentre potrebbe diventare invece un prezioso aiuto per vivere adattativamente questa dimensione umana all’interno della condizione di disabilità. E per proteggere le persone con disabilità, le donne in particolare, dal fortissimo rischio di abuso a cui sono esposte. Mentre nei luoghi di riabilitazione ancora troppo spesso troviamo la separazione dei sessi, visioni angelicate e infantilizzate dei giovani uomini e donne ospitati; nelle famiglie c’è talvolta il ricorso ad un «fai da te» improvvisato, che tenta in qualche modo di offrire una scarica alla pressione sessuale dei ragazzi, quando invece per le ragazze privilegia in prevalenza una visione moralistica, fatta di richieste di autocontrollo e di vigilanza, di obbedienza repressiva che spegne la vita affettiva o la costringe a modalità non adulte.

Cultura della sensibilità

Questa sensibilizzazione riguarda per primi gli adulti che svolgono, in famiglia o servizi, il ruolo di genitori e di caregivers, per aiutare i propri figli e figlie o le persone di cui si prendono cura a vivere i movimenti del cuore e del corpo sessuato confrontandosi con la realtà della propria disabilità, a sviluppare tutta la possibilità.

Disponibile di consapevolezza corporea e di riconoscimento delle proprie ed altrui emozioni, per affrontare i tanti ostacoli in più che il mondo pone loro rispetto al diritto di esprimere questa componente della loro umanità.

fonte: liberamente tratto dalla rivista quindicinale Rocca dall’articolo Non siete angeli…  (numero/pagina 10/37 del 15/05/2016)

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